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ATTIVITÀ FISICA E DOLORE LOMBARE


I dolori alla "schiena" colpiscono circa l'80% degli adulti ma solo nel 20% dei casi derivano da vere e proprie patologie vertebrali.

Negli atleti questa sintomatologia può essere determinata da:

- Insufficiente riscaldamento generale e specifico. Un buon riscaldamento permette di innalzare la temperatura del muscolo e di migliorarne nel contempo l'irrorazione sanguigna e il metabolismo cellulare. I muscoli aumentano elasticità ed estensibilità. Quindi, oltre ad un maggiore rendimento, si possono prevenire stiramenti e strappi muscolari. Aumenta anche il trofismo dei tessuti privi di vasi sanguigni (cartilagini articolari e dischi intervertebrali) per cui avviene una ottimale diffusione di liquidi e substrati nutritivi. Diminuisce anche la viscosità del liquido sinoviale delle articolazioni e, di conseguenza, ne viene migliorata la funzionalità in quanto le facce articolari scorrono più facilmente.

- Residuo di tossine e congestione muscolare derivanti da inadeguata esecuzione degli esercizi di “defaticamento” al termine di ogni allenamento, o da scarso recupero tra un allenamento e l'altro. In questo contesto vanno evitati esercizi di "defaticamento" che imitano il gesto tecnico che ha comportato compressione discale. Infatti, pur essendo questi esercizi funzionali per l'apparato muscolare e cardiocircolatorio, mantengono i dischi in ulteriore compressione (es.: defaticamento col vogatore dopo averlo usato come mezzo di allenamento).

- Squilibrio di forza e di elasticità della muscolatura deputata al fisiologico allineamento tra colonna vertebrale, bacino e femori. Questi muscoli vanno rafforzati e nel contempo mantenuti elastici, con adeguati esercizi di potenziamento e allungamento muscolare. I muscoli addominali antero-laterali e posteriori ben tonificati permettono di scaricare circa il 40% del carico gravante sulla colonna lombare.

- Insufficiente utilizzo di esercizi di stretching muscolare e mobilità articolare dopo ogni allenamento. Lo stretching estende e decontrae i muscoli mantenendoli elastici, mentre la mobilizzazione dei segmenti corporei riporta l'articolazione ad uno stato di efficienza ottimale.

- Compressione continua delle colonna vertebrale durante e dopo l'allenamento. L'attività fisica intensa e le posture fisse (studiare, vedere la televisione, andare in macchina, ecc.) sovraccaricano senza soluzione di continuità i dischi intervertebrali. Nel tempo può determinarsi un assottigliamento per deidratazione e compromissione del metabolismo. La nutrizione dei dischi, infatti, non avviene attraverso i capillari sanguigni, ma con una azione di “pompa” (perfusione) che permette l'entrata e l'uscita di liquido. Grazie agli esercizi di scarico, eseguiti a fine allenamento (Figura), si ottiene una veloce reidratazione dei dischi e un afflusso di sostanze nutritive. Un discorso analogo vale anche per le altre articolazioni ove il carico fisso e prolungato ostacola il metabolismo della cartilagine ialina, basato sul meccanismo di diffusione.

- Esecuzione non corretta degli esercizi. Il mantenimento delle normali curve fisiologiche, in qualsiasi attività o posizione del corpo sotto carico, è la migliore garanzia per una corretta distribuzione e assorbimento delle pressioni sulla colonna vertebrale. Un carico esterno molto elevato, posizionato o sollevato in maniera corretta, comporta pressioni vertebrali notevolmente inferiori di un carico esterno molto basso posizionato o sollevato in modo non corretto. Contrariamente a quanto generalmente si crede, anche alcune semplici posizioni o movimenti effettuati col solo carico naturale possono comportare notevoli pressioni sui dischi intervertebrali.

METODO ED ESERCIZI DI DECOMPRESSIONE DISCALE

Una caratteristica degli esercizi di decompressione discale è la posizione del corpo che deve essere tale da eliminare quanto più possibile ogni forza compressiva sulla colonna vertebrale (posizione di scarico).

Durante gli esercizi che non utilizzano la gravità come fattore di trazione (Figura: esercizi n. 1,2,3,4) l'azione di scarico si ottiene con una contrazione dei muscoli addominali tendente a flettere la regione compresa tra il bacino e le vertebre del tratto lombare.

Il passaggio delle vertebre da una posizione compressa (lordosi) ad un allineamento, unito alla massima decompressione, dilata i dischi e ne permette una rapida reidratazione e attivazione metabolica. Anche i muscoli del tratto lombare subiscono uno stiramento positivo (stretching) che contribuisce a rilasciarli e a smaltirne le tossine accumulate.

La metodologia è simile allo stretching:

- 6-8 secondi per andare in allungamento (lentamente); - 20-30 secondi di mantenimento della posizione di massimo allungamento; - 6-8 secondi per tornare alla posizione di partenza (lentamente); - 6-8 serie totali intervallate da 45-60 secondi di recupero.

Alcuni esercizi che utilizzano la gravità e la cui posizione non determina disagio posturale (Figura: esercizi n. 7 e 8) prevedono un tempo unico di allungamento e decompressione di circa 10 minuti. L'esercizio n. 8, a causa dello stiramento del nervo sciatico dovuto alla flessione delle cosce a gambe tese, è sconsigliato in presenza di lombosciatalgia.

Alcuni esercizi di decompressione della colonna lombare

ESEMPI DI CARICO SULLA COLONNA VERTEBRALE

Lo scopo di questa breve rassegna scientifica è evidenziare due aspetti fondamentali degli esercizi di preparazione fisica in genere:

- Alcuni esercizi e posizioni assunte a carico naturale possono comportare carichi e stress vertebrali molto elevati, a volte più stressanti dei sovraccarichi.

- Negli esercizi con pesi, il notevole carico vertebrale deriva più dal braccio di leva utilizzato nell'esercizio che dall'entità del peso stesso, come avviene in alcuni esercizi anche con piccoli sovraccarichi (es.: slanci delle braccia avanti) o con sovraccarichi medi (es.: stacci da terra eseguiti a dorso "curvo" o con le gambe tese).

Carico sulla vertebra L3 in diverse posizioni del corpo (soggetto di circa 70 Kg di peso).

Pressione all'interno del disco (in % della pressione nella stazione eretta) in diversi esercizi per rinforzare il “corsetto addominale”.

Carico sulla vertebra L3 in posizione eretta e seduta (soggetto di circa 80 Kg di peso).

Il carico totale di (equilibrio delle forze) è dato dalla somma del peso del busto (C.G. = centro di gravità) e dalla forza dei muscoli estensori della colonna.

Attività dei muscoli estensori della colonna vertebrale durante una inclinazione in avanti.

Dapprima, vi è una flessione della colonna (a un angolo di 60° di inclinazione) e la pelvi è fissata dall'attività dei muscoli glutei. Poi, vi è una rotazione della pelvi.

Modificazione del carico vertebrale in funzione dell'inclinazione del tronco e della forza muscolare.

Carico sulle vertebre lombari in varie posizioni del corpo.

Pressione sulle vertebre lombari in varie posizioni e situazioni di carico.

Il disco L3 ha una superficie di circa 10 cm2. Un soggetto giovane può sopportare un carico di 800 kg, ovvero 80 kg/cm2. Va rilevato che il disco viene scaricato di circa il 40% grazie all'azione dei muscoli addominali e del diaframma.

Carico sul disco L5 nella inclinazione in avanti senza carico e con carico di 30 Kg.

Schema di un uomo di 77 Kg che solleva 90 Kg.

Il nucleo polposo del disco della L5 è considerato il fulcro del movimento. Le braccia e il tronco formano una lunga leva anteriore. Il peso sollevato è controbilanciato dalla contrazione dei muscoli profondi della schiena. Che agiscono su una leva molto più breve (la distanza dal centro del disco al centro del processo spinoso). Se si omette il ruolo del tronco, la forza applicata al disco lombo-sacrale sarebbe di circa 9000 N (circa 920 Kg), che è considerevolmente maggiore di quella che i segmenti della colonna vertebrale isolati possono sopportare senza danni strutturali (in soggetti sotto i 40 anni il cedimento dei segmenti della colonna si è avuto tra i 450-775 Kg, nei soggetti più anziani tale valore era talvolta di soli 132,6 Kg). Ciò non accade perché la contrazione dei muscoli del tronco trasforma le cavità toraciche e addominali in cilindri semirigidi che alleggeriscono del peso la colonna stessa.

Carico sui dischi intervertebrali durante lo stacco del bilanciere da terra in relazione all'atteggiamento del busto.

Carico sui dischi intervertebrali durante la fase intermedia del sollevamento di un bilanciere in relazione all'atteggiamento del busto.

A sinistra: tecnica non corretta (dorso "curvo”); a destra: tecnica corretta (busto esteso). I carichi compressivi su un disco intervertebrale lombare ammontano, rispettivamente, a 630 e 380 Kg.

Carico sulla vertebra L5 di un soggetto alto 1,84 m e pesante 93 Kg che sostiene 10 Kg a braccia tese davanti al corpo.

Questa posizione è equivalente ad avere circa 227 Kg in asse sulla colonna vetebrale. Nell'un caso e nell'altro il carico sulla 5^ vertebra lombare è pari a circa 298 Kg.

Spostamento dei fluidi e carico nei dischi intervertebrali nelle diverse posizioni del corpo ed in esercizi fisici diversi.

Relazione tra pressione all'interno del disco e saturazione d'acqua del nucleo polposo per il disco all'altezza della vertebra L3.

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